Guardare oltre le statistiche, per riformare davvero le politiche del lavoro

La pubblicazione da parte dell’ISTAT del comunicato trimestrale sul mercato del lavoro, avvenuta lo scorso 15 dicembre, delinea un quadro nel quale la diminuzione della disoccupazione è accompagnata da un calo del numero degli occupati e da una crescita degli inattivi. Siamo in presenza – dato reso più evidente estendendo l’analisi all’intero 2015 - di una lieve diminuzione del numero di disoccupati, del quale beneficiano però soprattutto gli over 50, mentre i posti di lavoro diminuiscono nella fascia 35-49 anni e restano sostanzialmente inalterati nelle fasce di lavoratori tra i 15 e i 34 anni. Le statistiche rese note dall’ISTAT hanno generato un notevole dibattito, come oramai avviene puntualmente a ogni pubblicazione di dati riguardanti il mercato del lavoro, non soltanto con riferimento alle indagini statistiche, ma anche ai dati amministrativi delle Comunicazioni Obbligatorie gestiti e pubblicati dal Ministero del Lavoro. 
Il dibattito – che si incentra in particolare sugli eventuali effetti positivi del Jobs Act - è spesso viziato da posizioni preconcette: da un lato vi sono i sostenitori della riforma del lavoro voluta dal Governo Renzi, che ne sottolineano gli effetti sulla diminuzione della disoccupazione e sulla crescita dell’occupazione, dall’altro coloro che hanno un’opinione critica del Jobs Act, i quali sottolineano il mancato impulso dello stesso al miglioramento del quadro occupazionale. 
Il confronto è animato e complesso, ma ci sono degli elementi di fondo che sembrano inequivocabili: il 2015 ha segnato una lieve ripresa economica, accompagnata da una altrettanto tenue diminuzione del tasso di disoccupazione e da alcuni segnali di crescita del tasso di occupazione. Individuare in quale misura tali miglioramenti siano attribuibili al Jobs Act è materia complessa e forse inestricabile: i fenomeni economici sono determinati da molteplici componenti, e oggettivamente non è semplice affermare con certezza se, in assenza della riforma del lavoro del Governo Renzi, il quadro occupazionale sarebbe migliorato o peggiorato; e forse tale attardarsi in tale valutazione non ha, attualmente, nemmeno grande utilità. 
Gli obiettivi perseguiti attraverso una riforma del mercato lavoro dovrebbero avere un orizzonte temporale ben più ampio di quello limitato a pochi mesi: in particolare sarebbe necessario valutare - senza che ciò significhi trascurare le necessità immediate di intervento e correzione - le esigenze dei lavoratori e delle aziende con riferimento ad un quadro temporale ultradecennale, avendo particolare riguardo per gli elementi strategici dell’intervento normativo, ossia per quelli che possiamo considerare gli interventi sulla “struttura portante” del mercato del lavoro. 
Il legittimo confronto sull’andamento mensile o trimestrale dell’occupazione e della disoccupazione, sarebbe opportuno soffermarsi su quelli che sono i limiti strutturali del nostro mercato del lavoro, per capire con quali percorsi affrontarli, e valutando se nel Jobs Act siano già presenti o meno strumenti adeguati a tale fine. Il problema fondamentale del nostro paese riguarda non tanto l’alto tasso di disoccupazione, ma il basso tasso di occupazione; è d’altra parte evidente come quest’ultimo sia in buona parte determinato dalla presenza di un’alta percentuale di lavoratori inattivi: in altre parole, vi è un elevato numero di persone in età attiva che rinunciano alla ricerca attiva del lavoro, per differenti motivi (famigliari, di studio, pensione, ecc.). Tra questi ultimi, meritano una specifica attenzione i lavoratori scoraggiati, ossia coloro che ritengono di non riuscire a trovare un lavoro, e per questo motivo non sono attivamente impegnati nella ricerca: come evidente, e da più parti ribadito, per calcolare un tasso di disoccupazione “effettivo” occorrerebbe sommare questi ultimi ai soggetti attivamente impegnati nella ricerca di un’occupazioneÈ da qui che occorre ripartire se si vuole capire la reale condizione del mercato del lavoro, le interrelazioni con le problematiche dell'istruzione e della formazione, al fine di intervenire per rendere davvero incisive le politiche attive del lavoro.

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