Salario minimo e livello delle retribuzioni, la necessità di un approccio strutturale

La tematica del salario minimo, da alcuni mesi all'attenzione del dibattito politico nel nostro paese, e la questione più vasta e complessa dei livelli retributivi, sono spesso inquadrate e commentate secondo una logica parziale, unidimensionale, talvolta piegando i giudizi ad un approccio prettamente politicista. La stagnazione delle retribuzioni dei lavoratori è un fenomeno che si è diffuso in Europa occidentale e negli USA a partire dalla fine degli anni settanta e dai primi anni ottanta, con dinamiche e dimensioni differenti nei diversi paesi, determinata principalmente dalle seguenti cause:
  • a livello nazionale, le retribuzioni sono la risultante della struttura produttiva, delle dinamiche politiche, sindacali, economiche e finanziarie. Negli ultimi decenni i paesi che hanno avuto la capacità di rinnovare e rafforzare la propria base industriale, di gestire le politiche di bilancio in modo virtuoso e di conservare la stabilità dei cicli politici hanno avuto un maggiore incremento del reddito nazionale e conseguentemente una più cospicua crescita dei redditi dei lavoratori rispetto ai paesi nei quali tale condizioni sono state assenti o precarie;
  • l'allargamento della competizione internazionale compiutasi negli ultimi decenni e in particolare il prepotente emergere delle economie del sud-est asiatico e della Cina - e in epoca più recente dell'India - ha determinato una redistribuzione delle reddito mondiale a favore di questi paesi, con un conseguentemente peggioramento delle condizioni lavorative e delle retribuzioni dei lavoratori nei paesi occidentali;
  • l'aumento del peso del capitalismo azionario e delle rendite finanziarie a scapito del capitalismo industriale e produttivo - quest'ultimo maggiormente radicato nei territori e orientato a una visione di equilibrio sociale - ha contribuito a un progressivo scivolamento dei quote sempre maggiori di reddito dai lavoratori alle remunerazioni degli azionisti, modificando di conseguenza anche le priorità delle strategie aziendali.

La crescita delle retribuzioni - al di là di eventuali aggiustamenti marginali - non è un problema di breve periodo o una variabile che può essere gestita agevolmente da un governo, bensì richiede interventi strutturali su uno o più di una delle tre tematiche sopra richiamate. Non tutti gli elementi sono però governabili, in quanto scaturiscono da processi di trasformazione di portata storica: su questo versante, la perdita di centralità delle economie occidentali appare un percorso difficilmente eludibile. Un elemento di riflessione strategico è senz'altro quello relativo alla natura del nostro capitalismo, al suo rapporto con le componenti sociali, in un quadro di continua crescita della dimensione delle imprese e del loro profilo internazionale: gli stati nazionali possono ancora essere - come lo furono nei primi decenni successivi al secondo conflitto mondiale - la camera di compensazione tra capitale e lavoro? In alternativa, può essere plausibile che le grandi aziende divengano esse stesse organismi sociali in grado di promuovere la partecipazione dei lavoratori alla proprietà e alla ripartizione degli utili? Sono queste le sfide - alcune, non tutte - che è necessario affrontare se si intende davvero arrivare a garantire a tutti i lavoratori retribuzioni adeguate a condurre un'esistenza dignitosa.

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