Lavoro, disoccupazione, sussidi: la visione di Robert Kennedy

Sono trascorsi quasi 54 anni da quel terribile 6 giugno del 1968, il giorno nel quale Robert Kennedy, appena vinte le primarie della California e inaspettatamente divenuto il favorito alla nomination democratica, fu assassinato in circostanze mai del tutto chiarite.

Il successo del giovane senatore di New York, nella corsa che lo contrapponeva a Humphrey e a McCarthy, fu il risultato di un percorso di ascolto e dialogo - iniziato negli anni precedenti, quando ancora era ministro della giustizia nel governo guidato da suo fratello John - con le componenti della popolazione maggiormente discriminate, sia per motivi razziali, sia dal punto di vista sociale ed economico.

Bobby Kennedy visitò - fu tra i primi politici americani a farlo - le aree più arretrate del paese, a iniziare dal Mississipi, nelle quali erano presenti condizioni estreme di povertà, analfabetismo, malnutrizione. Denunciò con forza la contraddizione delle condizioni da terzo mondo nelle quali vivevano ampi strati della popolazione, nel cuore di quello che era il paese più ricco e potente del pianeta: "C'è un territorio straniero dentro i nostri confini. Un'altra America. Un giovane laureato che ha insegnato in una scuola del ghetto sintetizza così: i libri fanno schifo, la vernice si scrosta, lo scantinato puzza, gli insegnanti ti chiamano negro, la finestra ti cade in testa. Questi altri americani emarginati dalla società, ci ricordano che esistono solo quando la città culmina negli atti disperati di uomini sconfitti".

Eppure Robert Kennedy rifiutava l'emergente cultura assistenzialistica. Attraverso il Programma Bedford-Stuy, propose degli incentivi per la realizzazione delle opere di costruzione per il ghetto di Bedford-Stuyvesant: non solo nuovi alloggi laddove sorgevano baraccopoli, ma anche fabbriche e aziende, coinvolgendo nel recupero del quartiere centinaia di lavoratori disoccupati e inoccupati. Prima che venisse assassinato, l'intento di Kennedy era quello di rendere il Programma Bedford-Stuy un modello replicabile in contesti simili, in un'ottica di collaborazione tra pubblico e privato che favorisse la crescita sociale, l'inserimento lavorativo dei disoccupati cronici, il recupero urbanistico dei quartieri marginali.

In un momento nel quale in Italia il dibattito sul Reddito di cittadinanza ha ripreso vigore, la visione di Bobby Kennedy rappresenta un stimolo alla riflessione, un monito. La concezione solidaristica della convivenza sociale e l'esigenza di garantire a tutti i cittadini condizioni di vita al di fuori della povertà, non devono trasformarsi nella giustificazione di uno strumento che è sbagliato, il quale non solo va corretto, ma deve essere ripensato completamente. 
É necessario superare il Reddito di cittadinanza, separando definitivamente gli interventi assistenziali rivolti ai soggetti che vivono una condizione di assoluta incapacità al lavoro - la cui gestione non ha nulla a che fare con le politiche del lavoro - e le azioni finalizzate all'inserimento lavorativo degli inoccupati e al reinserimento dei disoccupati: per queste ultime sono necessarie politiche attive mirate e misurabili, istruzione e formazione di qualità, supporto alla transizione lavorativa e alla mobilità occupazionale e geografica. 
Per i disoccupati e gli inoccupati gli interventi di supporto al reddito devono essere necessariamente limitati nel tempo, imprescindibilmente connessi a comportamenti proattivi del lavoratore nella ricerca dell'occupazione e nella riqualificazione delle competenze professionali, affinché non divengano, come affermava Robert Kennedy, deleteri per i lavoratori stessi: "se non vogliamo distruggere economicamente tutte le città americane, dobbiamo togliere i sussidi alla gente. L'assistenzialismo non è la risposta. Distrugge l'individuo e la sua famiglia. L'unica risposta è dare lavoro alla gente".

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