Servizio civile obbligatorio o esercito del lavoro?
Una delle principali criticità che riguardano il mercato del lavoro nel
nostro paese è quella relativa alla persistente e vasta disoccupazione giovanile:
si tratta di una problematica che ha anche complessi risvolti di carattere
sociale, sia perché spesso i giovani disoccupati non sono impegnati nemmeno in
attività di studio o formazione (i così detti “Neet”, ossia “not (engaged) in education, employment or
training”) sia poiché l’età giovanile è cruciale nella
vita di qualsiasi individuo per la determinazione del proprio percorso
intellettuale, formativo e lavorativo.
Le misure messe in campo per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo
del lavoro sono molteplici, sia dal punto di vista delle specificità
contrattuali (a iniziare dall’apprendistato) che dei meccanismi di transizione
tra scuola e lavoro, fino ad arrivare a degli incentivi di carattere
contributivo e/o fiscale e a specifici programmi, come il piano “Garanzia
giovani” promosso dall’Unione Europea.
Gli interventi descritti hanno però il limite di non raggiungere la
totalità dei giovani, ma bensì di funzionare soltanto nei confronti di
coloro che sono maggiormente motivati e sono in possesso di competenze più
spendibili: sarebbe utile, accanto a tali strumenti, prevedere percorsi di “esperienza
lavorativa” che -sebbene non garantiscano a tutti i giovani un immediato
inserimento lavorativo - permettano di maturare una maggiore consapevolezza sul
funzionamento del mondo del lavoro e sulle proprie attitudini.
A tale proposito si stanno
moltiplicando le proposte in campo, a iniziare da quella relativa all’istituzione di un servizio civile
obbligatorio per tutti i ragazzi e le ragazze: attualmente il servizio
civile è per i giovani un’opportunità e non un obbligo; nello specifico, le
attività prestate per il “Servizio Civile Nazionale” possono riguardare i
settori ambiente, assistenza, educazione e promozione culturale, patrimonio
artistico e culturale, protezione civile, servizio civile all’estero.
L’idea che il servizio civile sia un momento di crescita umana, civica
e di accrescimento di competenze che possono essere spese nel mondo del lavoro
è senz’altro condivisibile, lo è meno la convinzione che tale percorso debba
essere reso obbligatorio, quasi si volesse costruire una sorta di “esercito del
lavoro”.
Probabilmente tale idea poteva
avere valore qualche decennio orsono, e a tale proposito è interessante richiamare
alla memoria la proposta del l’intellettuale di area radicale Ernesto Rossi, il quale nel suo testo “Abolire
la miseria”, scritto nel 1942, proponeva la costituzione di un “un esercito del
lavoro” dove i giovani di ambo i sessi, non appena terminati gli studi, avessero
l’ obbligo di prestare servizio per un periodo di due anni, in cambio solo di
vitto e alloggio, al fine di “servire” l'interesse collettivo lavorando al
servizio dello Stato nell'ambito della produzione e distribuzione, di beni “indispensabili per vivere senza soffrire la
fame e il freddo per tutta la vita” (cit.). Ernesto Rossi stimava un
massimo di tre mesi di formazione per ogni componente dell'esercito, vale a
dire un ottavo della leva complessiva; la sua proposta prevedeva che i “dirigenti” dell'esercito fossero
persone di comprovata ed elevata professionalità, al fine di consentire una
migliore formazione delle “reclute”, nonché un migliore sviluppo delle attività
produttive.
La proposta di Ernesto Rossi era però stata delineata in un periodo
storico caratterizzato da un livello di istruzione dei giovani estremamente
basso, e da esigenze di competenze e professionalità del mercato del lavoro
assai limitate: un contesto molto differente da quello attuale, nel quale
invece i ragazzi e le ragazze hanno bisogno di operare in ambiti lavorativi che
consentano loro di comprendere il funzionamento del mondo del lavoro e le
modalità di inserimento nello stesso. Siamo certi che il servizio civile
obbligatorio sia utile a tale fine?