Carta dei diritti della CGIL, che fine hanno fatto i disoccupati?
Nei giorni scorsi la segretaria generale della CGIL, Susanna Camusso, ha presentato la "Carta dei diritti universali del lavoro", un articolato normativo costituito da 97 articoli i quali - nelle intenzioni della leader del maggior sindacato italiano - dovrebbero costituire una riscrittura completa dei principali aspetti che regolano il diritto del lavoro nel nostro paese.
La Carta, sulla quale la CGIL inizierà una raccolta di firme per una proposta di legge di iniziativa popolare, è articolata in tre "titoli": il primo dedicato alla tematica dei "Diritti fondamentali, tutele e garanzie di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori", il secondo alla "Disciplina attuativa degli articoli 39 e 46 della Costituzione" - in particolare con riferimento alla registrazione dei sindacati, alle rappresentanze unitarie sindacali, alla contrattazione collettiva e alla partecipazione dei lavoratori alle decisioni e ai risultati delle imprese - e il terzo riguardante la "riforma dei contratti e dei rapporti di lavoro e la tutela dei diritti".
Il testo, che nelle intenzioni della CGIL dovrebbe rappresentare un nuovo "Statuto dei lavoratori", contiene una completa rivisitazione della normativa giuslavoristica, dai contratti di lavoro alla tutela delle invenzioni e delle opere dell'ingegno, dai diritti sindacali alla partecipazioni dei lavoratori, dalla conciliazione dei tempi di lavoro con i tempi della vita alle tutele per i lavoratori autonomi, lungo un percorso il quale si pone come alternativa alla riforma del mercato del lavoro realizzata dal governo Renzi.
Le differenze tra il Jobs Act e la Carta dei diritti sono notevoli e richiedono un'analisi comparativa accurata, ma l'elemento che appare immediatamente evidente è l'assenza nella proposta della CGIL di meccanismi e strumenti per l'inserimento lavorativo degli inoccupati e dei disoccupati, aspetto che è invece centrale nella riforma realizzata dal governo Renzi. Il Jobs Act muove i propri passi dall'esigenza di spostare la tutela dal "posto di lavoro" al lavoratore, al fine di migliorarne le opportunità di collocazione e ricollocazione lavorativa, e di sostenerlo - attraverso il rafforzamento dell'indennità di disoccupazione - durante i periodi di mancata occupazione; il concetto di "occupabilità" è centrale, come evidente anche nella scelta di rafforzare i meccanismi di transizione tra scuola e lavoro.
La Carta dei diritti della CGIL è invece totalmente indirizzata ad un rafforzamento dei diritti degli occupati, e si dimentica dei disoccupati (o forse, semplicemente non si premura di rappresentarli), o meglio non si fa carico della necessità di prevedere, definire, inventare percorsi (di formazione, di ricerca, di rafforzamento o riconversione delle competenze) finalizzati ad un rapido e proficuo reinserimento lavorativo dei soggetti espulsi dal mercato del lavoro da un lato, e ad una efficace transizione tra scuola/università e mercato del lavoro per i giovani dall'altro.
Quella del sindacato guidato da Susanna Camusso è senza dubbio una visione vecchia, con lo sguardo rivolto al passato, che rifiuta di fare i conti con la realtà di un mercato del lavoro nel quale gli "outsiders" sono sempre più numerosi, e nel quale la qualità dei servizi per il lavoro e del dialogo tra imprese e scuole/università diviene sempre più necessario. Si tratta di una visione sempre più corporativa, per certi versi lontana dalla tradizione storica riformista della CGIL.