Quel lavoro flessibile che il jobs act non riesce a contenere

Nei giorni corsi il governo è intervenuto al fine di correggere il decreti attuati del Jobs Act, modificando – tra l’altro – la normativa sul lavoro accessorio (cd “vouchers”), prevedendo per quest’ultimo regole più stringenti riguardo alle modalità di comunicazione dell’avvio delle stesse e intervenendo sugli aspetti sanzionatori. L’intervento era stato richiesto da più parti, a partire dalle organizzazioni sindacali, e si era reso necessario dopo la vertiginosa crescita del ricorso a tale tipologia contrattuale, seguita all’entrata in vigore del D.Lgs. 81/2015, attraverso il quale è stato ridisegnato il sistema delle tipologie dei contratti di lavoro. Tale normativa – così detto “codice dei contratti” – ha disposto il definitivo superamento dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa nella loro modalità “parasubordinata”, al fine di porre fine al fenomeno della precarizzazione cronica che tali tipologie contrattuali determinavano per numerosi lavoratori, e di ricondurre il “lavoro autonomo” e il “lavoro dipendente” nel loro alveo naturale.
L’intento del governo era corretto e condivisibile; tuttavia tali modalità contrattuali (in particolare il lavoro a progetto), hanno costituito uno strumento efficace (perlomeno dal punto di vista delle dinamiche occupazionali) per l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, consentendo inoltre a numerosi lavoratori non più giovani di ricollocarsi con più facilità.
Successivamente all’emanazione del Codice dei contratti tale funzione è stata svolta in parte dal nuovo contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti; ciò è avvenuto però prevalentemente per i lavoratori più anziani, e sopratutto sotto la spinta della decontribuzione prevista per il 2015.
Conseguentemente il lavoro accessorio è divenuto una sorta di “valvola di sfogo”per tutte quelle attività lavorative che – per problemi di costo, di carattere normativo o semplicemente di “opportunità” – non potevano essere inquadrate nelle nuove forme contrattuali, o in quelle sopravissute tra le vecchie tipologie, determinando in tale modo fenomeni di precarietà più gravi di quelli esistenti prima del Jobs Act.
Ora il governo è intervenuto con la razionalizzazione della regolazione del lavoro accessorio, ma tale intervento è senz’altro insufficiente, anche perché interviene sugli effetti e non sulle cause. L’esigenza “vera” è quella di intervenire prevedendo percorsi contrattuali che riescano a svolgere una funzione analoga a quella che in contratti di collaborazione svolgevano per i giovani (anche in considerazione dello scarso appeal che l’apprendistato continua ad esercitare) e per lavoratori non più giovani: ad esempio prevedendo forme contrattuali di primo inserimento lavorativo per i primi, e di reinserimento per i disoccupati maturi che sottoscrivano specifici accordi con i servizi per il lavoro.

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