Studi umanistici si o no? Occorre guardare alla vera natura dei problemi

L'articolo intitolato "Il conto salato degli studi umanistici" del vicedirettore de "Il Fatto Quotidiano" Stefano Feltri - pubblicato lo scorso 13 agosto, ha destato un vasto dibattito sulla stampa e nei social network. Il giornalista, in poche righe, afferma dei concetti piuttosto diffusi nell'opinione pubblica, ossia che "fare studi umanistici non conviene, è un lusso che dovrebbe concedersi soltanto chi se lo può permettere". 
La scelta del percorso universitario incide sulla vita di individuo, non soltanto per le ripercussioni sulla carriera lavorativa, ma anche poiché ne determina la cultura personale, i rapporti umani, è in un certo senso una scelta di costruzione della propria personalità: ma Feltri non considera tali aspetti.
Aldilà di questa valutazione, che ha una natura soggettiva, proviamo a vedere gli aspetti oggettivi, ad assumere il punto di vista del giornalista, che dovrebbe essere quello della funzionalità dei percorsi universitari all'inserimento lavorativo. Allora (aldilà del dato ovvio e conosciuto del diverso "rendimento" dei percorsi universitari) non potendosi sopprimere gli studi umanistici - il cui contributo allo sviluppo culturale e sociale del paese dovrebbe essere palese - e non potendo limitare l'accesso agli stessi agli studi provenienti da famiglie benestanti (le quali magari possono permettersi un master da 15000 euro dopo la laurea), forse sarebbe opportuno fare un'analisi più attenta dal problema. E facendo un'analisi più attenta ci si renderebbe conto che il problema dell'accesso al mondo del lavoro dei laureati delle facoltà umanistiche è parte di un problema più complesso, che riguarda l'accesso degli stessi laureati al mondo del lavoro, il quale si inserisce in un quadro ancora più critico che è quello dell'accesso al mondo del lavoro dei giovani italiani: o meglio, di quelli che il lavoro se lo devono cercare poiché non appartengono a consorterie o non hanno percorsi preferenziali. Quali sono le cause di tali problemi? Ci sarebbe da scrivere un libro. Oppure, magari, soltanto un articolo decente. Per dire, la mancanza di un sistema di orientamento nei momenti decisionali fondamentali per lo studente e per le famiglie: nella scelta del percorso di istruzione superiore e del corso di studi universitario. Ancora, l'assenza di meccanismi di orientamento e di inserimento nel mondo del lavoro al termine del percorso di studi, l'incapacità del nostro paese di investire sull'apprendistato, la cui natura contrattuale subisce continui mutamenti. Senza dimenticare il difficile accesso a percorsi post universitari (innanzitutto i master) poiché troppo onerosi anche nelle università pubbliche, oppure il fatto che tali percorsi spesso sono finalizzati - più che a facilitare l'inserimento nel mercato del lavoro -  a soddisfare le esigenze dei docenti universitari. Ci sarebbe da studiare e da scrivere parecchio, ma forse analizzare le cause reali dei problemi non è funzionale ai titoli ad effetto, e potrebbe essere attività troppo faticosa sotto il caldo sole agostano.

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