Jobs Act, al via i primi decreti attuativi tra dubbi e incertezze

Lo scorso 24 dicembre il Consiglio dei Ministri ha approvato i primi due decreti attuativi del Jobs Act, sulla base della Legge Delega 183/2014, relativi rispettivamente all'attuazione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e alla nuova Aspi. I due decreti potranno essere modificati entro un mese dalla loro approvazione, per poi entrare in vigore e divenire operativi. Il governo ha scelto il percorso di una attuazione graduale della delega ricevuta dal Parlamento, dando priorità, da un lato, all'attuazione del contratto a tutele crescenti - anche in virtù del forte nesso tra quest'ultimo e gli sgravi contributivi e fiscali previsti dalla Legge di Stabilità per le assunzioni a tempo indeterminato - dall'altro alla parziale revisione della regolazione dei sussidi di disoccupazione.
La scelta del governo di non procedere ad un'attuazione dell'intera delega in tempi rapidi rischia di produrre incertezze e confusione negli operatori del mercato del lavoro, e - sopratutto - appare dettata dalla mancanza di una visione di sistema in seno all'esecutivo. L'intento di dare immediatamente un impulso alle assunzioni e alle stabilizzazioni contrattuali attraverso il contratto a tutele crescenti è apprezzabile, ma l'intera materia contrattuale sarebbe dovuta essere regolata congiuntamente: quale sarà, ad esempio il destino delle collaborazioni a progetto? Il contratto a tutele crescenti rischia di indebolire l'apprendistato, quale sarà il destino di quest'ultimo? 
La nuova regolazione dell'indennità di disoccupazione contiene senza dubbio degli aspetti positivi - la nuova Naspi tutelerà in modo più efficace i lavoratori disoccupati, ampliando la tutela dei collaboratori - ma lascia irrisolti gli aspetti di fondo. Da un lato non si è proceduto ad una sistemazione complessiva del sistema degli ammortizzatori sociali: il superamento della cassa in deroga non è una soluzione efficace se non si mette mano alla regolazione iniqua della CIG e della CIGS. Dall'altro lato - e qui si entra nel "cuore" della riforma del mercato del lavoro - il governo non ha avuto la capacità di stabilire un legame forte fra ammortizzatori sociali, reinserimento lavorativo e riforma dei servizi per il lavoro. Inizialmente il decreto relativo al contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti conteneva - all'art. 11 - un riferimento al contratto di ricollocazione, prevedendo - per i soli lavoratori licenziati in modo illegittimo - una dote spendibile presso i servizi per l'impiego pubblici o presso le agenzie per il lavoro private: questo passaggio è poi scomparso nella versione successiva del decreto, a riprova della superficialità con cui è stato affrontato questo aspetto. Non si tratta però di un argomento marginale, ma bensì del nodo centrale di una riforma del lavoro efficace e moderna: se si vuole capovolgere il mercato del lavoro nel nostro paese, passando da un sistema che tutela il posto di lavoro ad un sistema che tuteli il lavoratore, occorre realizzare una catena che veda indissolubilmente legati la flessibilità in entrata e in uscita, ammortizzatori sociali solidi, politiche attive efficaci e servizi per l'impiego orientati al ricollocamento dei lavoratori. In particolare, è necessario - anche ricercando percorsi di compartecipazione finanziaria delle imprese, come avviene in altri paesi - legare il sussidio di disoccupazione a efficaci percorsi di ricollocazione lavorativa, anche attraverso il miglioramento o la riconversione delle competenze del lavoratore. Tutti gli aspetti citati necessitano di una profonda rivisitazione, e richiederebbero un intervento sistemico e non delle correzioni parziali e slegate dal contesto Per raggiungere questo obiettivo è però necessario capire che la prima e vera precarietà per un lavoratore è la mancanza di competenze, e come tale condizione sia molto spesso determinata da un sistema di istruzione, formazione di inserimento al lavoro che non è in grado di guidare la persona alla crescita della propria occupabilità.

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